A Rofelle, come era per ogni piccola realtà scolastica, ogni anno si cambiava insegnante.

Il primo anno con la maestra Lorena era stato meraviglioso. Avevo avuto modo di conoscere bene Alberto, Massimo, Ivana e Carlo con i quali si era creato un legame molto forte. Mi sentivo accettata e ben accolta anche dai ragazzi più grandi.

 Con Giampaolo e Patrizio, se pur abitassero nella borgata di case più vicina a casa mia, non ci frequentavamo molto.

 Giampaolo già si prodigava nei lavori agricoli dell’azienda di famiglia e l’estate era occupato nella fienagione e nella mietitura.

Patrizio era più ostile ai lavori agricoli, nonostante il nonno Giovanni ormai anziano avesse avuto necessità di una mano. Lui era innamorato degli animali e stava ore ed ore ad osservare il loro comportamento.

Mia mamma ricorda ancora di averlo trovato completamente sdraiato in una mulattiera. A lei venne spontaneo chiedere cosa facesse in quella strana posizione e il piccolo zoologo, infastidito dalla domanda, fece segno a quella intrusa di rimanere in assoluto silenzio e solo allora la mia mamma si accorse che stava osservando un nucleo di formiche intento a trasportare chicchi di grano ed altre provviste chissà dove…Probabilmente il piccolo osservatore si era posizionato lì proprio per scoprirlo!

 Quell’estate fu favolosa per me! I miei cominciavano a superare le paure e i timori sulle mie condizioni di salute e “scioglievano le briglie” per farmi vivere una fanciullezza libera.

Ivana, Carlo e Massimo venivano al Turiolo e passavamo ore a giocare a calcio, a nascondino nei capanni… Ma poi si ripeteva sempre la solita storia: presi dal caldo dell’estate e dall’entusiasmo che inevitabilmente infonde la bella stagione, ci prendeva la voglia di avventurarci verso mete che a noi sembravano lontane.  Ivana si faceva coraggio e chiedeva a mia mamma se mi mandava con loro.

Mia mamma non ha detto mai di no.

Solo di recente ho scoperto che lei si raccomandava ad Ivana che camminassero ad un passo che fosse adatto anche per me.

 E così iniziò la mia prima estate da anima completamente libera in compagnia dei miei amici più cari.

Da Montebotolino a Ca ‘ di Butteri, da Ca’ di Butteri al Castello…ci divertivamo così camminando per le strade assolate, fermandoci dal nonno Cecco e dalla nonna Aldina, per poi arrivare al Castello dove Alberto ci aspettava speranzoso di giocare con noi ma spesso diventava solo oggetto delle burle di Ivana e di Massimo.

 Di questa cosa ero un po’ dispiaciuta perché in fondo al mio cuore si faceva sempre più strada l’idea di Alberto come uomo della mia vita, ma fingevo di stare al gioco dei fratelli Butteri perché, per niente al mondo, avrei voluto perdere la loro amicizia.

Una sera che Ivana si era fermata a dormire da me presi coraggio e le confessai i miei sentimenti verso Alberto. La mia amica non sembrò stupita e decise di aiutarmi ad avvicinarmi a quello che, nelle mie fantasie fanciullesche, ritenevo l’uomo che il destino mi aveva donato.

 Le estati successive furono altrettanto belle, ma l’anno scolastico fu triste perché già a settembre sapevo dell’imminente trasferimento verso il Valdarno di tutta la famiglia Butteri. A fine anno scolastico si sarebbero spostati tutti a Badia Agnano, dove Ireneo già viveva perché aveva trovato il lavoro da guardiacaccia in una riserva. Il destino volle che gli ultimi mesi mi sono potuta godere l’amicizia di Ivana 24 ore su 24.

Il 23 dicembre del 1970 nacque Katia, ultima di sette figli. Katia dovette essere ricoverata immediatamente all’ospedale di Arezzo e lì rimase per diverso tempo. La situazione non era semplice: Ireneo già aveva trovato casa e l’ospedale di Arezzo, dove era ricoverata Katia, era più facilmente raggiungibile dalla nuova abitazione, ma i grandi dovevano ormai terminare l’anno scolastico iniziato a Rofelle.  Fu così che Massimo, Ivana, Carlo e Marino rimasero al paese natio. Chi dai nonni materni chi da quelli paterni, Ivana fu ospitata nella nostra famiglia.

Ebbe inizio un periodo bellissimo nel quale io e la mia amichetta si ebbe modo di rinsaldare l’amicizia forgiando un legame che sarebbe continuato nel tempo.

Io e lei stavamo proprio bene insieme, mia mamma dichiara tuttora di non averci mai sentito leticare. Ero felice di avere finalmente una specie di sorellina e lei era raggiante di aver trovato finalmente qualcuno che la faceva giocare, che la trattava come una bambina. Con la nostra fantasia di bambine avevamo predisposto tante occasioni di gioco, per ogni evenienza!

Quando era brutto tempo, il luogo preferito era la vecchia soffitta che noi avevamo ordinato come un vero e proprio appartamento, anzi due appartamenti per due signore che abitavano porta a porta e si scambiavano ospitalità ed altre gentilezze. Le ceste rovesciate erano diventate tavoli, piccoli scatoloni fungevano da sedie, le pareti erano abbellite da foto ed ogni genere di immagine che potevamo trovare. In primavera non mancava mai un piccolo mazzo di fiori: primule, viole, non ti scordar di me… Questo piccolo regno era nostro e solo nostro!

 Lo scricchiolare delle scale era presagio che qualcuno stesse arrivando, allora ci affrettavamo a nascondere gli intrugli che facevamo con acqua, cenere e farina, fingendo di cucinare incredibili manicaretti per i nostri fidanzati.

Tutto andava bene se ad entrare nel nostro regno era mia mamma, la cosa si complicava se si trattava di Angelo.

Angelo abitava nella borgata sottostante il Turiolo, aveva quattro anni meno di noi e questo lo penalizzava fortemente; nessuno lo accettava come compagno di giochi anche perché lui riferiva ogni piccolo dispetto subito alla mamma la quale si dimostrava immediatamente pronta ad intervenire non esitando a discutere anche poco elegantemente con le altre mamme.

La compagnia a Ca’ Giovannicola si era rinforzata da quando Massimo era andato ad abitare con i nonni.

Massimo, Giampaolo e Patrizio ne combinavano di tutti i colori: rompevano le tegole ai tetti, impaurivano le pecore facendole scappare dai campi…se Angelo si univa a loro, la colpa ricadeva sempre su di lui. Al piccolo non rimaneva altro che avventurarsi per il Turiolo …ma anche qui non trovava chi lo accoglieva a braccia aperte…anzi!!

Per non farlo salire in soffitta avevamo inventato “LA MARANGANA”. Nemmeno io ed Ivana sapevamo bene cosa fosse, tuttavia l’effetto che la sola pronuncia di quel nome produceva era per noi a dir poco miracoloso: Angelo “se la levava a gambe” e tutto filava liscio per alcuni giorni. Poi si ripeteva il solito rito: arrivava Norina a lamentarsi con mia mamma e per un po’ di giorni eravamo costrette ad accettare la sua compagnia.

Ma quando era bel tempo, nessuno era capace di tenerci in casa! Nemmeno la mitica soffitta ci attirava più!

Fuori il nostro gioco preferito era “Marco e Maurizio”. Fingevamo di essere due signore alle prese con i nostri due figli che erano due mostri visto che ne combinavano “di cotte e di crude”.

 Il Turiolo riecheggiava delle nostre voci: “Marco, scendi di lì!”, “Maurizio lascia stare gli agnelli!”, “Marco ho appena steso quei panni!”. Solo quando loro due dormivano, noi potevamo trovare un po’ di pace sorseggiando tranquillamente un caffè mentre ci raccontavamo le fatiche delle nostre giornate.

La sera ci divertivamo con mia mamma, mio babbo e mio zio. Con il babbo e lo zio giocavamo a carte, soprattutto a Strappacamicia. Dalla mamma pretendevamo che trovasse il modo di farci ridere a crepapelle. Allora lei, quando non sapeva più cosa raccontarci, si metteva a fare il verso della gallina e lo faceva in un modo talmente particolare da scatenare le risate più fragorose ed incontenibili che possano esistere.

Insomma eravamo felici, una famiglia raggiante dove la figlia adottiva era stata accolta da tutti come una grazia piovuta dal cielo.

Ma tutte le cose belle finiscono troppo presto! Quando Ireneo, non ricordo bene in che periodo, tornò a riprendersi Ivana, fu una specie di tragedia: lei non voleva andare via ed io non volevo mandarla via!