PREMESSA
Quando, con un già timido sole post-ferragostano, sono state soffiate alla mia attenzione di lettore per poesie della maestra Bellucci, il continuo (professionale ed umano) interrogarmi su cosa sia poesia è stato raggiunto da qualche risposta.
Non si fa poesia solo andando a capo: da capo ci si deve rifare per raggomitolarsi tra il vissuto e le emozioni che esso comporta. Cogliere ed accogliere il visto, il toccato, l'ascoltato, il gustato e il pensato spesso comporta, come necessità irrinunciabile, l'esprimere nero su bianco, lo scandire in versi, quasi la vita nel suo caos, avvertisse il bisogno del metro di una narrazione numerica.
Le emozioni individuali si fanno riflessioni universali ed archetipe dagli anni Ottanta del Novecento agli esordi del ventunesimo secolo, ma " i moti del mio cuore/avranno per sempre/la stessa età", un bambino " nella dolce alcova/dorata di sogni", continuerà a dormire nonostante la cronaca nera urli soltanto violenza; l'esistenza di paese e di campagna persevererà nell'assistere al miracolo di vecchi che ritornano bambini e di giovani impegnati ed intarsiarsi di sapienza, speranza e sogno.
La solitudine ( poichè poeti e poetesse sono sempre soli o in minoranza) si nutre di folgorazioni, di intuizioni, di attimi in cui si capisce o si ritorna a capire, anche l'insondabile, anche dove sia l'amore che ritroviamo magari nascosti negli occhi di una mamma come in un piatto di pasta, nella trasparenza di una finestra come nel gelo di un ramo smarrito nella neve o " nel bollore di un ceppo che brucia".
E' sempre il momento della poesia, ovunque è il posto della poesia, capace di far rima tanto con il mondo, quanto con la sola Badia...
ANDREA FRANCESCHETTI
Pieve Santo Stefano, 18 agosto 2015